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Affreschi romanici

Entrando oggi nella Basilica di S. Giulio, si è immediatamente accolti dalla forte cromia della chiesa: gli stucchi barocchi dorati, i toni chiari della cupola e della volta della navata centrale si armonizzano con il grande pulpito in marmo serpentino d’Oira per terminare con i vividi affreschi delle cappelle nelle due navate laterali. Ma la chiesa, che la leggenda vuole sia stata la centesima fondata dal Santo cui è dedicata, si presentava in modo molto differente fino al 1661, anno di inizio dei rifacimenti barocchi, ultimi di una lunga serie di modifiche apportate nel corso dei secoli alla chiesa e al suo impianto decorativo.

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Fondata attorno al 390 e ricostruita tra l’XI e il XII secolo dopo i danni subiti durante svariati assedi all’isola, la basilica venne affrescata a partire dal Duecento. Purtroppo non rimangono tracce di questa prima decorazione se non nelle poche testimonianze scritte. Infatti la maggior parte degli affreschi oggi presenti sulle pareti delle cappelle laterali risalgono ai rifacimenti quattrocenteschi e cinquecenteschi. Tuttavia nel 1941, durante i lavori di restauro, vengono scoperti, alla base della seconda e terza cappella destra, dei frammenti di decorazione risalenti al Trecento: probabilmente uno zoccolo di un precedente dipinto, sopravvissuto alla sovrapposizione degli strati d’intonaco dei lavori quattrocenteschi, dove appare la scritta “fieri” in carattere gotico; purtroppo il frammento decorativo è troppo limitato per permettere una più ampia ricostruzione dell’affresco originario. Il costante rimaneggiamento che le pitture hanno subito nel corso dei secoli, rende difficile trovare un comune accordo sulle date dei lavori più antichi e sugli autori degli stessi. A volte anche l’interpretazione iconografica dei santi è difficile a causa dell’ambiente culturale chiuso in cui la cultura ortese si è sviluppata. Esempio ecclatante di queste difficoltà interpretative è l’affresco di sant’Antonio Abate del terzo pilastro della navata sinistra: per molti decenni ritenuto la più antica pittura datata della chiesa, è stata invece proposta, e ampiamente accettata, negli ultimi anni la lettura della data posticipata di un secolo, non  più il 1421, bensì il 1521. Questo slittamento temporale ha comportato logicamente una revisione dell’autore dell’affresco stesso, attribuito prima a Tommaso Cagnola, poi successivamente alla sua bottega e in particolare a Sperindio, autore di altri affreschi della basilica.

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Un’altra causa che rende difficile la datazione e l’attribuzione dei dipinti è lo stato di deterioramento in cui versano alcuni di essi: per circa due secoli, dal XVI al XVII, infatti pellegrini e abitanti della Riviera incisero notizie di avvenimenti importanti sui pilastri affrescati con, in particolare, S. Antonio Abate, S. Donnino e l’incontro tra S. Giulio e S. Audenzio. Queste notizie, benché forniscano una chiara cronologia storica locale, ricordando carestie, pestilenze, miracoli o eventi fuori dall’ordinario, rendono più difficile la lettura del dipinto così fortemente rovinato. Anche gli affreschi sulle pareti sono stati pesantemente danneggiati dalla rimozione, nel Cinquecento, di quindici dei diciotto altari della chiesa. Gli affreschi nella seconda e terza cappella destra, oggi quasi perfettamente restaurati, e nell’antisacrestia hanno subito i danneggiamenti peggiori.

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Presumibilmente l’affresco più antico della basilica, forse della seconda metà del XIV sec, si trova sul secondo pilastro a sinistra, e rappresenta il martirio di san Lorenzo. È un affresco semplice ed immediato, frutto di un’arte popolare non ancora del tutto sviluppata: lo sfondo è poco curato e la stigmatizzazione dei carnefici molto evidente, per rendere forse più accessibile la lettura dell’immagine, ma ugualmente molto pregevole per la riuscita dislocazione dei molti personaggi in uno spazio piuttosto ristretto e per la cruenta forza espressiva della scena.

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Riconducibile allo stesso periodo del martirio è san Bartolomeo, affrescato sul primo pilastro della navata destra; tuttavia questo dipinto è privo della forza espressiva del martirio, la pittura è piatta e poco volumetrica, risulta elementare e artificiosa. I due lavori, sebbene eseguiti circa nello stesso periodo, dimostrano una profonda differenza stilistica anche rispetto alle altre testimonianze trecentesche più tarde: i santi Uguzzone e Antonio della teoria dei Santi nell’antisacrestia e, nella cappella sinistra dell’Assuntasan Paolo Eremita del Maestro d’Oropa. A Johannes de Campo potrebbe essere invece attribuito l’affresco di santa Caterina di Alessandria presente nella terza cappella destra. Questa cappella è l’altro esempio all’interno della basilica dove convivono nello stesso affresco pitture risalenti a periodi e autori differenti. L’intera cappella è stata affrescata nel 1486, ma nella teoria dei Santi presente sulla parete la figura di santa Caterina è su uno strato differente di pittura, una sorta di piccola conca, scavata nel muro rispetto al livello degli altri personaggi. Anche la rappresentazione differente rispetto alle restanti figure ha fatto presupporre un autore diverso; infatti i santi che circondano Caterina (san Sebastiano, Rocco e Giacomo a destra della Santa e san Biagio a sinistra) seguono un modello differente di rappresentazione: tratti del viso più marcati, occhi grandi e fissi, sguardo fiero, zigomi alti e capelli accuratamente disegnati in voluminosi boccoli. Santa Caterina, al contrario, presenta tratti più dolci, occhi più tranquilli e pacifici, colori più vividi negli abiti. Un’altra particolarità di questo dipinto è nell’iscrizione che lo divide dalla lunetta sovrastante affrescata con la natività; infatti nella dedica si cita san Cristoforo, non presente sulla parete, ma solo sul pilastro di fronte e, invece, non vengono nominati i santi Sebastiano, Rocco e Biagio che sono raffigurati insieme a san Giacomo e a santa Caterina, ai quali effettivamente la cappella è dedicata. Inoltre dall’erronea lettura della frase latina si è creata la figura mitica di una nobile Jacobina, dedicataria, in sostituzione di san Giacomo, della cappella, affrescata per volere del “cantore” Stefano. Il resto della cappella è affrescato con i Dottori della Chiesa sulla volta: Gregorio, su un trono in stile gotico fiorito, Gerolamo, su uno di legno semplice in stile ancora gotico, Agostino seduto su un trono rinascimentale a tre absidi adornati con conchiglie e Ambrogio, seduto ugualmente su un trono rinascimentale, ma con i soli braccioli ad abside.

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Sui semipilastri addossati alla parete vi sono i santi Damiano, a sinistra, e Cosma a destra. Di fronte, oltre al già citato san Cristoforo, sono raffigurate le sante Apollonia e Dorotea, sant’ Antonio e san Donnino nel sottarco; sant’ Elia e san Martinosono rappresentati negli affreschi sui restanti lati del pilastro. E’ probabile che anche le decorazioni della seconda cappella della navata sinistra appartengano al Maestro del 1486, ma che siano precendenti a questa data. L’affresco, poiché molto rovinato, è stato strappato e riportato su tela agli inizi del Novecento; la pittura rappresenta nella parte superiore, in una mandorla di luce il Padre Eterno che sostiene la Croce di Cristo e tra i due, la colomba simbolo dello Spirito Santo, in una rappresentazione tradizionale della Santissima Trinità. Ai margini della mandorla due angeli reggono dei cartigli che riportano delle frasi greche in alfabeto latino tratte dalla passione. Erano delle espressioni fisse, delle formule preconfezionate usate durante le celebrazioni della liturgia pasquale.

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La parte sottostante è invece divisa in due fasce: una prima fascia, suddivisa a sua volta in riquadri, racconta una serie di quattro miracoli di san Giulio: il Santo che arriva sull’isola infestata da creature mostruose, che fuggono al suo arrivo, san Giulio che riattacca un dito a un falegname, la guarigione di un indemoniato; l’ultimo riquadro contiene la rappresentazione di un miracolo non da tutti riconosciuto come tale: un uomo per non aiutare il Santo a costruire, insieme al fratello Giuliano la chiesa di san Lorenzo nel vicino paese di Gozzano, si finge morto, ma effettivamente muore davvero subito dopo. Nella seconda fascia invece vi è rappresentato l’incontro tra san Giulio, sant’ Elia e san Gaudenzio, primo vescovo di Novara. La peculiarità di questo affresco è nella rappresentazione dell’isola sullo sfondo; non è un’idealizzazione astratta di come dovrebbe apparire vista dall’alto, ma è una rappresentazione effettiva. La prospettiva è sbagliata rispetto all’impostazione del dipinto, ma è possibile individuare il castrum presente sull’isola a quei tempi, ed oggi sostituito dall’edificio monastico.

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L’ultima cappella ad essere affrescata in ordine cronologico è la seconda cappella destra. Questa presentava, oltre a una prima decorazione trecentesca, un ciclo di affreschi quattrocenteschi con soggetti simili ai rifacimenti dei primi decenni del Cinquecento, probabilmente eseguito da Sperindio Cagnola. Gli affreschi ora presenti sulle pareti sono stati a lungo ricondotti ad un Gaudenzio Ferrari giovane, prima del suo grande sviluppo artistico, ma è più probabile che sia stato un seguace di Ferrari o un suo allievo a bottega ad eseguire gli affreschi, dei quali Ferrari potrebbe aver curato l’impostazione. La decorazione a grottesche della cornice dell’affresco, eseguita sull’intonaco ancora bagnato, ha orientato molti studiosi verso la prima tesi in quanto Gaudenzio Ferrari aveva soggiornato a Roma per un periodo in cui aveva studiato i resti dellaDomus Aurea neroniana, dove appunto sono presenti queste decorazioni. Tuttavia i colori meno vividi, più austeri e l’impostazione più rigida delle figure fanno pensare a un anonimo artista appartenente alla scuola di Gaudenzio Ferrari, o a Sperindio Cagnola che potrebbe aver eseguito gli affreschi, sicuramente prima della fine del 1520. Il soggetto della lunetta è il Martirio di santo Stefano, mentre quello della parete è una Madonna con Bambino tra i Santi con un committente. Benché lo stile sia di alto livello, l’impostazione delle figure è classica, sobria e bilanciata, i colori rigorosi, con una predominanza del rosso, le aureole sono in rilievo: tratto distintivo del Ferrari e della sua bottega. Sempre dell’Anonimo Gaudenziano o di Sperindio Cagnola sono i restanti affreschi della cappella: san Giulio e sant’Audenzio, sul secondo pilastro insieme a san Fermo e sant’Apollonia e la volta affrescata con i quattro Evangelisti, dove i colori si fanno più sgargianti ed intensi, anche se la struttura dei personaggi rimane pressoché invariata e statica.

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Interessante è anche il Presepe presente sul primo pilastro a sinistra: non si conosce l’autore dell’affresco, ma si suppone possa essere un artista straniero, probabilmente d’oltralpe, per la forte caratterizzazione di volti; questo indica l’importanza che avevano l’isola di San Giulio e la sua basilica.

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Una menzione particolare merita l’angelo presente sul primo pilastro a destra rivolto verso la navata interna. Anche di questo dipinto non conosciamo l’autore né l’anno in cui è stato eseguito, ma è interessante la rappresentazione di questo serafino, soprattutto le sue sei ali rosse e oro ricoperte di occhi, come vuole la tradizione, che simboleggiano la preveggenza, lo sguardo contemplativo, che invita alla dolcezza; invito ripreso anche dalla mano aperta tra le ali e tesa verso lo spettatore.

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Ormai irrimediabilmente perdute sono le decorazioni della volta e dell’abside precedenti a quelle barocche che oggi fanno mostra di sé nella basilica stravolgendo, in parte, la struttura originaria più sobria e coerente. Ma sappiamo grazie alle varie testimonianze scritte di vescovi e di visitatori illustri, che sia la cupola, sia l’abside erano di un tenue colore azzurro ricoperte di stelle dorate, probabilmente una citazione della prima versione della Cappella Sistina (prima dell'intervento di Michelangelo), con immagini, affreschi e gruppi scultorei in legno della vita di san Giulio, degli Apostoli e degli Evangelisti. Inoltre il tiburio presentava una diversa collocazione delle finestre, che erano più piccole. Purtroppo gli interventi barocchi hanno distrutto la sobrietà e l’armonia creata in secoli di affreschi, rifacimenti e correzioni, istituendo un nuovo equilibrio basato sui contrasti tra vari stili che convivono, ancora una volta, quasi armoniosamente in una stessa basilica.

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FONTI

- M. Di Giovanni Madruzza e G. Melzi d’Eril, Isola di San Giulio e Sacro Monte d’Orta, Torino, IGDA Officine Grafiche, 1977.
- A.A. Vari, San Giulio e la sua Isola, Novara, Interlinea Edizioni, 2000.
- Chiovenda Canestro Cristina, L’Isola di San Giulio, Corsico (MI), Grafiche Francesco Ghezzi, 1991.

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